Le ginocchia stanche e la fede viva di Suor Felicita
Nel mio servizio presso la Piccola Casa sono stato assegnato al reparto di lunga degenza dell'ospedale, un contesto non certo semplice per chi vi entra la prima volta.
Tra i vari malati del reparto ho incontrato una suora del Cottolengo. Soffriva di un infezione alle ginocchia che non le permetteva di alzarsi e camminare normalmente e pativa di una grave demenza senile per cui dimenticava tutto in fretta. Dovevo per esempio ripeterle il mio nome ogni cinque minuti così come non riusciva mai a ricordarsi ciò che aveva mangiato a pranzo e così via.
Eppure questa suora aveva un nome che era stato il suo programma di vita: Suor Felicita. Amava ricordare e raccontare con gioia di quando, giovane suora, era stata mandata ad occuparsi dei bambini di un asilo fuori Milano. Un giorno, mentre con la suora infermiera del reparto l'avevamo spostata sulla carrozzina per rifarle il letto, Suor Felicita ebbe un momento di lucidità e iniziò a parlare con chiarezza del suo attuale stato di salute e di come le pesasse il fatto di non poter più fare del bene a nessuno. Ad un certo punto la suora infermiera, in modo del tutto inaspettato, le chiese: “Sei contenta della tua vita?” Suor Felicita, lucida e seria, le rispose subito: “La mia vocazione e la mia consacrazione religiosa sono state le cose più belle della mia vita. Mi hanno permesso di vivere la mia fede nella carità verso i bambini dell’asilo e i fratelli che ho incontrato”. Quando cinque minuti dopo tornai nella sua camera per portare le lenzuola pulite, Suor Felicita era tornata quella di prima e non mi riconosceva più. Poche parole, che potrebbero apparire scontate eppure sono state per me importantissime. In Suor Felicita ho incontrato una testimone che, anche dal suo letto del reparto dei lungodegenti, continua a vivere e testimoniare la propria vocazione con profondità e sincerità.
